Fra gli albi illustrati da Komako Sakai, c’è una storia che mi ha sempre incantato per via della protagonista, una sirena. Ho sempre trovato le sirene (così come le fate) creature affascinanti.
Prima di incontrarla nella rappresentazione eterea della Sakai, con colori pastosi che sembrano però avere la fluidità dell’acqua, nel mio immaginario la sirena per eccellenza era quella di John William Waterhouse, il pittore vittoriano stilisticamente influenzato dai preraffaelliti.

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Le sirene sono creature acquatiche fantastiche presenti nel folclore di molte culture, dall’Europa all’Asia. In Italia abbiamo Murgen, che esce dalle acque a gennaio per predire il futuro; il castello sottomarino della regina delle sirene, con il suo giardino di alghe e coralli che pare si trovi nel Salento, da qualche parte vicino a Lecce e persino una leggenda veneta che racconta di Manfredo dei Monticelli, guarito da una grave malattia grazie ad una sirena che viveva nelle acque di Lispida.

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Ma credo che la sirena più conosciuta sia quella di Hans Christian Andersen, quella delle fiabe della nostra infanzia e quella con il lieto fine del lungometraggio animato della Disney. Ci ricordiamo la meraviglia del mondo sottomarino, del castello in fondo al mare. La bellezza della sirena e del suo canto melodioso e la storia d’amore tra due creature differenti. Prima di iniziare questo post, ho voluto rileggere la versione originale di Andersen (nell’edizione di Einaudi), di cui non ricordavo lo strazio, la crudeltà e soprattutto la motivazione religiosa che sottende tutto il racconto. La sirenetta infatti desidera il mondo degli umani e l’amore del bel principe. Anela la vita eterna che potrà ottenere solo diventando umana, se il principe deciderà di farla sua sposa. Per far questo rinuncerà al mare, alla sua famiglia, alla sua coda di pesce, alla sua voce melodiosa e patirà sofferenze atroci ad ogni passo.

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Anche in Akai rousoku to Ningyo (La sirena e le candele rosse) di Mimei Ogawa, con le tavole di Komako Sakai (Une sirène chez les hommes nella traduzione di l’école des loisirs) nel mondo sottomarino c’è una creatura che anela al mondo umano. Un mondo che appare bellissimo, con uomini buoni e generosi, molto più di pesci e mostri delle profondità. Ed è un desiderio di uguaglianza che spinge questa sirena a consegnare la creatura che ha nel ventre a questo mondo di creature così simili a lei ma tanto più fortunate, perché non costrette a vivere in acque fredde e inospitali. È un desiderio di amore, il desiderio di donare alla figlia una vita nella luce e una dimostrazione di  fiducia negli uomini, che sempre proteggono i più deboli e quindi avrebbero certamente accolto e amato la piccola sirena.

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La sirena viene infatti trovata da una coppia di anziani, proprietari di un negozio di candele, non hanno avuto figli e la considerano un dono del dio del tempio vicino, decidendo di allevarla. C’è un chiaro rimando alla tradizione favolistica giapponese, basti citare la Principessa Kaguya trovata dentro un bambù da un’anziano intagliatore che poi la alleva con la moglie, e Momotaro, “pescato” da una anziana donna senza figli, dentro ad una pesca gigante che galleggiava nel fiume.
La sirena in questa storia cresce bella, saggia, triste e malinconica. Mantiene la coda di pesce, la sua natura di creatura marina e, forse per questo, del mare ha nostalgia.

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Decora con il colore rosso le candele del padre, i disegni sono meravigliosi, le candele hanno un grande successo e marinai di paesi lontani vengono ad acquistarle per poi accenderle per il dio del tempio, domandando protezione.
Ma il destino di questa sirena, come per la sirenetta di Andersen, sembra essere triste. I genitori adottivi la vendono ad un mercante che vuole portarla in un circo.

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Tradiscono la fiducia che la madre-sirena aveva riposto negli uomini e per questo saranno puniti. Le ultime candele dipinte dalla sirena, completamente rosse, saranno acquistate da una giovane donna pallida, con i capelli inzuppati… Nella notte una tempesta farà affondare la nave dove la sirena era stata caricata come una bestia in gabbia, fra leoni e tigri. Accese al tempio, le candele rosse non si estingueranno mai, portando tempesta, sventura per le navi, per il tempio, per i due vecchi venditori di candele e per l’intero paese che pian piano viene abbandonato.

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La sirenetta di Andersen non realizza il suo desiderio di appartenere al mondo degli umani, ma la sua generosità la fa diventare una figlia dell’aria, che non ha anima immortale ma può conquistarsela compiendo buone azioni per trecento anni. Per la sirena di Ogawa intravediamo invece un lieto fine tramite gli occhi un viaggiatore a cui una sera sembra di vedere due sirene nelle acque vicine alle rovine del villaggio abbandonato. La sirena che avrebbe voluto vivere nel mondo sottomarino a cui sentiva di appartenere, forse si è ricongiunta con la madre e ha realizzato il suo sogno.

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Nella mitologia giapponese le sirene ovvero ningyo, che letteralmente significa “uomo pesce”, sono creature ben diverse da quelle del folclore occidentale. Pesci dal viso umano, con bocca simile a quella di una scimmia, denti da pesce e voce di allodola, con carni profumate e deliziose che si dice allunghino la vita. Tutte le leggende giapponesi “insegnano” che le sirene non vanno catturate, perché la loro cattura è presagio di sventure. In Akai rousoku to Ningyo, la furia distruttiva della tempesta potrebbero derivare anche da una concezione scintoista della natura come spirito. La natura si manifesta come kami (gli dei) che nell’idea antica sono imprevedibili, possono essere violenti e distruttivi. L’uomo deve imparare a vivere in armonia con essi (e con la natura), indirizzando la loro energia con preghiere e riti. La punizione del tradimento si potrebbe intendere qui come vedetta del mare o del “dio del mare” in risposta alla sorte toccata alla sirena.

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Mentre in Andersen, a conclusione della storia, si dice che i trecento anni di buone azioni che spettano alle figlie dell’aria possono diminuire ogni volta che in una casa incontrano un bambino buono (e che quindi se tutti i bambini fossero sempre ubbidienti e gentili questo purgatorio potrebbe durare pochi anni) in Ogawa non c’è una morale, solo la “naturale” conseguenza degli eventi: nessun marinaio si avvicina più al tempio e della città è scomparsa da tanto tempo, nessuno ormai se ne ricorda.

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Lo scrittore Mimei Ogawa (1882-1961) è considerato uno dei padri fondatori della moderna letteratura per ragazzi giapponese.
È nato nel periodo Meiji (1868-1912), l’epoca in cui il Giappone si è aperto all’Occidente e forse le storie di Andersen le ha incontrate per la prima volta sui banchi di scuola. Prolifico autore di storie per bambini e fiabe, è definito l’Hans Christian Andersen giapponese. Ogawa pensava che le sue storie fossero anche per gli adulti che avessero mantenuto la mente innocente dei bambini. Il periodo in cui scrive è il periodo d’oro della letteratura per l’infanzia. E’ il periodo del movimento Doshinshighi che si proponeva di guardare le cose con gli occhi dei bambini, della rivista Akai Tori (1918-1936, che in Giappone ha pubblicato per prima la storia di Pinocchio) e della rivista Kodomo no Kuni (1922-1944) di altissimo profilo artistico. E “artistiche” per Mimei Ogawa dovevano essere le fiabe moderne. I suoi racconti sono ricordati per la delicatezza, per l’espressività della lingua e per il romanticismo.

IMG_6282Riferimenti bibliografici e per le immagini:

John William Waterhouse, La sirena, 1901
Mimei Ogawa, Komako Sakai, Une sirène chez les hommes, l’école des loisirs, 2009
l’edizione originale è Akai rousoku to Ningyo, Kaisei-Sha, 2002
il testo originale di Mimei Ogawa è del 1921
Hans Christian Andersen, Fiabe, Einaudi, 2005
Illustrazione di una ningyo da Shigeru Mizuki, Mostri Giapponesi, Kappalab, 2013
Hans Christian Handersen, La sirenetta, AMZ, Milano, 1977